Una delle illusioni più frequenti (e più pericolose) quando lavoriamo è non capire che le regole del nostro mondo sono cambiate. Certo, è più semplice impostare una strategia di lungo termine, ma sui social e in generale con i prodotti digitali non sempre le regole di ieri valgono anche per il domani. Ecco quindi le cinque D che personalmente consiglio sempre di tenere a mente quando si promuove un brand online e si entra in contatto con un pubblico “virtuale”.
De-cronologizzazione
Gli utenti non sono più abituati a pensare ai contenuti in maniera lineare. I post che compaiono nel feed possono provenire da più parti: amici, sponsorizzazioni, gruppi o pagine consigliate, articoli correlati… La cosa più importante da ricordare sempre, però, è che non vengono mostrati in ordine cronologico. Tantissime volte mi capita di vedere notizie vecchie di giorni, se non addirittura settimane; lo dimostrano bene anche i video di TikTok, che se sono virali continuano a girare per mesi. È quindi imperativo che applichiamo la stessa logica alla nostra community, senza dare per scontato che abbia visto tutti i post precedenti o che sia davvero consapevole del “tempo” a cui ci riferiamo (es. offerte attive o eventi).
De-contestualizzazione
La decronologizzazione, com’è ovvio, causa anche una massiccia decontestualizzazione. Ormai da anni anche i media ce lo ripetono come una specie di mantra: siamo bombardati dalle informazioni. Chi usa i social e in generale la rete per ricerche o interessi specifici, allora è più probabile che sia in grado di tenere a bada la mole di contenuti proposti. Se per lavoro abbiamo a che fare con coloro che praticano uno scrolling passivo, dobbiamo considerare naturale che, prima o poi, finiscano per decontestualizzare ciò che vedono, con il rischio di scatenare discussioni per commenti e toni inappropriati.
Dis-interesse
Anche la decontestualizzazione ha la sua conseguenza ed è il disinteresse. Una grande forma di miopia del marketing e della comunicazione è proprio quella di pensare che tutto debba piacere a tutti, se corroborato da una qualche magica strategia. La verità è che, oltre alle inevitabili differenze di età e comportamenti tra i vari consumatori, molto processi si innestano con logiche imprevedibili (e casuali). Questo non significa che sia inutile provare a sviluppare strategie, ma non stupiamoci nel vedere le persone che seguono a cagnolino profilo di prodotti che non comprano, o commenti che non portano da alcuna parte (es. “prezzo”, “dove”, “info”). Lo scopo? Dire la propria a tutti i costi, perché al di là del vetro le cose (e le persone) “non ci toccano”.
Dis-informazione
Dal disinteresse nasce naturalmente un popolo digitale disinformato, che non si cura di cercare prove a sostegno delle proprie convinzioni e soprattutto non riesce a filtrare in modo corretto le informazioni ricevute. È quindi di grande aiuto mettersi nell’ottica di poter ricevere anche domande o risposte completamente fuori luogo, spesso seccate o addirittura aggressive. Per non parlare dell’uso dell’italiano: lasciando da parte qualche svista, a volte diventa davvero difficile capire cosa ci sta chiedendo l’utenza, sia per la grammatica sgangherata sia per l’incapacità di formulare una domanda di senso compiuto.
Dis-illusione (che rimane a noi)
Fatte tutte queste premesse, e tenuto conto che ognuna delle D vale anche per i clienti (e non solo per gli utenti), quello che rimane a chi lavora è un grande senso di disillusione. Non è una sensazione positiva, ma si può volgere a proprio vantaggio professionale e personale, a patto di infrangere qualche “regola aurea” da manuale.
Ad esempio, possiamo prendere in considerazione l’idea che qualche utente non meriti una risposta da parte nostra. Se i toni sono troppo alterati, la richiesta è al di fuori delle nostre competenze o abbiamo la percezione che non riusciremo a spiegarci in alcun modo, prendiamoci la libertà di non rispondere. Se un cliente ci chiede di pubblicare un post che non ci sembra adatto, ma non vuole sentire ragioni e la pagina non ha una grande quantità di interazioni, prendiamoci la libertà di chiudere un occhio per una volta. E così via.
Non ha davvero molta importanza incaponirsi sull’avere ragione, quanto capire quali sono le cose veramente rilevanti su cui concentrarci. La strategia migliore è sempre quella di cercare di risolvere la situazione nel minor tempo possibile, consapevoli che sono tutte cose di cui gli utenti e i clienti si dimenticheranno in fretta, mentre noi avremo solo perso il sonno per niente.
Ma quindi bisogna essere approssimativi nel proprio lavoro? No, ma è imperativo ricordarsi che ci sono anche persone ragionevoli in cerca di aiuto reale. È a loro che la nostra attenzione va data ed è per loro che il nostro lavoro ha ancora un senso, in un mare di utenti e clienti di serie D.