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Di stupidità umana e intelligenza artificiale

31/03/2025 16:54

Lorenza Tronconi

L'impennata, social, mondo digitale, chatgpt, AI, intelligenza artificiale, Studio Ghibli,

L'impennata, nuova rubrica mensile di polemiche e notizie digitali.

Parte la nuova rubrica mensile di polemiche a cura di Lorenza Tronconi, “L'impennata”. Il primo articolo sarà incentrato su AI e stupidità umana.

Ghibli Museum, Mitaka

Dopo mesi di articoli “contro”, sono finalmente riuscita a farmi assegnare una rubrica di polemiche tutta mia, che ho deciso di chiamare L’impennata (“L’avvelenata” era purtroppo già occupata da Guia Soncini su Linkiesta).

 

Oggi impenniamo subito il discorso “AI e ChatGPT” di petto, premettendo che la maggior parte delle critiche nasce da un’assoluta stupidità e superficialità di fondo. E non chiamiamola ignoranza: ignorante è chi una cosa non la sa, quindi è parzialmente giustificato. Qui il fatto è diverso. Si grida contro un’intelligenza artificiale (e i suoi “mirabolanti” risultati) tenendo volutamente fuori campo due assiomi di base.

 

Il primo è che l’AI viene addestrata con milioni di modelli provenienti dalla creatività umana, dunque finché non si dichiarerà autocosciente il problema del “mostro robotico” non si porrà. Questo significa che l’AI non è davvero più intelligente di noi, semmai è più brava a fare di tutto il nostro mappazzone di ingegno un buon riassunto. Una versione potenziata di Google, che infatti sta già prendendo provvedimenti inserendo Gemini nella parte alta della prima pagina dei risultati.

 

Il secondo, che parte proprio dal primo presupposto, è che ciò che fa l’AI lo sappiamo fare da secoli anche noi, in effetti gliel’abbiamo insegnato. Non bisogna stupirsi che l’AI riesca a replicare le immagini di Studio Ghibli, perché è proprio il lavoro di Studio Ghibli ad aver dato vita a un modello così efficace; inoltre, ça va sans dire, qualunque disegnatore professionista saprebbe replicare lo stile di Ghibli alla perfezione.

 

Il discorso allora non verte su quanto sia brava l’AI a copiare o replicare ciò che fino ad ora pareva essere di monopolio umano, ma le tempistiche e i presupposti legali con cui lo fa.

 

Per quanto riguarda il primo punto, quello che mi viene da dire è: così va il mondo. Per fare un esempio molto banale, l’AI non è differente da una lavatrice, quando si tratta di “perfezionare il lavoro”. Meno tempo, meno spreco, risultati migliori. È normale, fa parte del progresso.

 

Il secondo punto è più ostico e sicuramente non può riguardare lo stesso discorso che si applicherebbe a un elettrodomestico. Perché se è vero che l’AI è uno strumento eccezionale, che ci consente di ottenere i risultati sperati in meno tempo, quali sono i limiti etici e legali con cui può farlo?

 

Ad esempio, può essere un aiuto validissimo per chi ha un’idea ben precisa e non riesce (o non è in grado, per disabilità o sopraggiunta vecchiaia) a realizzarla, si tratti di un disegno, di un film o di un testo letterario. In questo caso, non sarebbe niente di più che un mero strumento esecutore, come lo sono già i computer e molti programmi che utilizziamo quotidianamente. Ma come viene addestrata a fare ciò che fa? In che misura viola l’utilizzo del copyright dei suoi modelli? E quali sono i limiti che dobbiamo porle, qualora entri a far parte delle nostre vite in maniera così complementare (come è in effetti successo), da pregiudicare i nostri stessi progressi, ad esempio lo svolgimento di un compito a scuola?

 

La prima reazione è sempre quella più estrema: chiudiamo tutto e mettiamo nel dimenticatoio. Blocchiamola. Eliminiamola. Torniamo a raccogliere le bacche nel bosco e riscopriamo la nostra umanità. Ma, come dimostra la storia, l’eliminazione del problema, invece di una sua regolamentazione, è solo una scorciatoia per il disastro annunciato.

 

Da amante della fantascienza e umanista di formazione, credo fermamente nell’autodeterminazione e nel progresso, almeno nel suo concetto più neutro. Credo nell’assoluta “normalità” del progresso anche quando non ci sono i presupposti per andare effettivamente avanti. E credo che questo sia uno di quei casi.

 

2001 Odissea nello Spazio è del 1968, Her è del 2012. Abbiamo sempre reputato naturale pensare che, per dirla in soldoni, i computer avrebbero parlato o addirittura CI avrebbero parlato. Il problema è che questo è successo senza che noi, prima, avessimo imparato a parlare con loro. Il fenomeno di massa di ChatGPT lo dimostra: perché chiedere a un’AI la ricetta per una torta di mele, quando possiamo tranquillamente cercare su Google quella che ci convince di più? È sempre un discorso di rapidità o è anche una questione di pigrizia e incapacità di base di filtrare le notizie, proprio come accade con le fake news diffuse sui social?

 

La mia conclusione è solo una: la stupidità umana non ha nulla a che vedere con l’intelligenza artificiale.