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Generazione Borg

30/05/2025 19:39

Lorenza Tronconi

L'impennata, social, mondo digitale, AI, Gen Z, Bassano del Grappa, chat, Whatsapp, Borg,

Rubrica mensile “L'impennata”

Ritorna la rubrica mensile di polemiche a cura di Lorenza Tronconi, “L'impennata”. Questa volta, la riflessione verte sul concetto di generazione.

Gen Z

Leggo sempre più spesso (soprattutto su LinkedIn) spiegazioni pseudo sociologiche sulle abitudini e la psicologia della cosiddetta Gen Z (che comprende i nati tra il 1995 e il 2010 o, secondo le definizioni più recenti, dal 1997 al 2012), a quanto pare terrorizzata dall’essere “cringe” e da tutto ciò che le generazioni precedenti hanno fatto per dimostrarlo, dal colletto della polo sollevato dei Boomer al piagnisteo cronico dei Millennial.

 

Ma, mi chiedo, in che modo i ragazzi che vi appartengono reagiscono a questo essere irrimediabilmente “cringe” di chi li ha preceduti? Ovvero, come fanno a sapere che ciò che mostrano sui social non è cringe a sua volta? Immagino si basino su modelli comunemente accettati nella cerchia della loro generazione, ma questo è un po’ limitativo, dato che ogni generazione pensa di essere meno imbarazzante e più evoluta di quelle passate, le quali a loro volta restituiscono il pensiero con vigore in senso opposto.

 

Capisco che per la Gen Z l’opinione di un Boomer o di un Millennial non valga nulla, ma davvero il concetto di generazione è andato così fuori controllo da abbracciare ogni singolo membro di una certa fascia di età? In parole povere: questa generazione che fa di tutto per non fare figure di merda, è davvero-davvero-davvero convinta di non farle? Volete dirmi che tutt*, nessun* esclus*, quando fanno o assistono a qualcosa, hanno un’unica impressione condivisa? E che cosa sarebbe questa Gen Z, una specie di neonata società Borg?

 

Non parlo di TikTok, dove spopolano video più che imbarazzanti (prodotti da generazioni passate e presenti, della qual cosa sarebbe meglio farsene una ragione una volta per tutte), ma di eventi di altro tipo, di quelli pesanti, che danno da pensare. Per citare un caso di cronaca attuale: la vicenda dell'stituto superiore a Bassano del Grappa, dove è stata creata una chat Whatsapp con un sondaggio su chi meritasse di più la morte per femminicidio tra i casi di cronaca degli ultimi anni.

 

Al di là del fatto in sé, di cui ha parlato Silvio Carnassale sempre su questo blog, come può pensare un esponente della Gen Z che un sondaggio del genere non sia, eufemisticamente parlando, “cringe”? Per fortuna il resto degli studenti si è mobilitato (non così la scuola, che ha girato con nonchalance la testa rilasciando dichiarazioni precotte), chiedendo a gran voce un confronto per capire cosa e perché sia successo.

 

Tutto questo per dire che, inscatolando un’intera generazione dietro etichette precise, e convincendo, di fatto, quella generazione a uniformarsi in toto, si è generato un mostro sociologico che ha trasformato un generico tentativo di comprensione in una scusa per ogni cosa. Sono sensibili, hanno paura del giudizio altrui, temono il confronto, vanno presi per mano, ma nel frattempo non hanno minimamente la concezione di cosa sia un social e come vada usato, sono spesso simpatizzanti verso idee estreme, compiono femminicidi (toh, esattamente come le generazioni precedenti) e fanno perfino sondaggi su di essi. È chiaro che non sono tutti così, ma giocoforza è altrettanto chiaro che non sono nemmeno tutti cosà.

 

Attenzione, allora, a non dare giudizi troppo affrettati o che strizzano l’occhio per accattivarsi una simpatia: un conto è studiare un gruppo di persone per ricerche di mercato, conoscere i flussi di acquisto e di vendita, stabilire le tendenze economiche e sociali, un altro è stampare un cuore rosa su un fascicolo chiuso in partenza, tentando di uniformare il più possibile alcuni comportamenti preoccupanti, senza capirli e senza risolverli.

 

E poi ce la prendiamo con ChatGPT e la disumanizzazione dell’intelligenza artificiale.

 

 

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